Durante una crisi sanitaria, gli attori sociali coinvolti devono affrontare delle sfide sia etiche che strategiche in termini di comunicazione pubblica. Istituzioni, aziende, organizzazioni e perfino i singoli professionisti sanitari hanno il compito di valutare razionalmente la necessità di comunicare o meno con gli stakeholder di riferimento.
Cos’è la comunicazione pubblica sanitaria?
Quando si parla di comunicazione pubblica, bisogna definire cosa sia “pubblico”. Il pubblico, quindi, può essere descritto come tutte le entità esterne con cui l’individuo, inteso come singola persona o organizzazione, dovrà interagire. In inglese, questo concetto può essere definito con il termine stakeholder, ossia qualsiasi soggetto influente nei confronti della crisi sanitaria.
Nelle emergenze medico-sanitarie, gli stakeholder con cui può essere utile aprire un dialogo sono:
- La popolazione direttamente colpita e le popolazioni limitrofe;
- I leader di comunità, formali e informali;
- Partner di progetto, aziende e organizzazioni umanitarie;
- Le istituzioni statali;
- La società civile;
- La comunità economica;
- Le forze armate.
La comunicazione pubblica sanitaria è molto diversa dalla comunicazione commerciale poiché si basa su un contesto, uno scopo e dei metodi specifici che vedono l’etica come elemento centrale, non il profitto.
Quali sono le sfide di un approccio simile?
Spesso si presenta un bivio che costringe le organizzazioni e i professionisti sanitari a dover scegliere se comunicare o non comunicare, informare o non informare, esprimere la propria opinione o non esprimerla.
La strategia della non-comunicazione
Per il primo assioma della comunicazione, non è possibile non comunicare. La non-comunicazione pubblica è una vera e propria scelta strategica che finisce, inevitabilmente, per comunicare un messaggio forte e chiaro.
Una simile scelta è opportuna soprattutto in un contesto in cui i principi etici e umanitari sono compromessi, quando gli obiettivi si sono allontanati dal salvare le vite delle persone, alleviare la sofferenza e porre fine all’emergenza.
Ad esempio, in Afghanistan, Medici Senza Frontiere ha deciso di non impegnarsi con i membri della coalizione al fine di salvaguardare i principi umanitari. A tutela del principio di neutralità e indipendenza, infatti, ha scelto di non avere rapporti con le forze militari e la Nato in generale. Hanno ritenuto che fosse un vantaggio per la popolazione evitanre la comunicazione con questo particolare tipo di stakeholder.
Tuttavia, la mancanza della comunicazione pubblica può essere dannosa nei confronti del benessere dei cittadini, come quando durante la guerra dello Sri Lanka ci sono state numerose prove di abusi commessi contro la popolazione civile, ma pochissime organizzazioni e istituzioni hanno osato denunciare la situazione.
La sfida che pone la strategia della non-comunicazione pubblica è capire quando il dialogo con gli stakeholder non è fattibile e quando la condivisione delle informazioni può creare incomprensioni o addirittura danni nei confronti della popolazione colpita.
La strategia della comunicazione
Quando gli attori sociali (istituzioni, organizzazioni e professionisti) decidono di comunicare pubblicamente durante una crisi sanitaria, significa che essi sono sicuri di voler discutere le proprie informazioni con gli stakeholder di riferimento. Comunicando, infatti, le parti interessate possono riflettere tra di loro e trovare una soluzione efficace all’emergenza.
Normalmente, gli stakeholder tendono a instaurare una relazione tra loro se condividono modalità di intervento simili, una comune interpretazione dei principi umanitari, una lingua madre condivisa. È il caso di Oxfam e Save the Children, che condividono la lingua inglese e hanno lo stesso approccio di intervento in caso di crisi umanitarie e sanitarie; oppure di MSF e CICR, che sono vicini nell’interpretazione dei diritti umanitari.
Se invece gli stakeholder con cui si intende relazionarsi sono esterni ed estranei al settore sanitario, come la società civile o la comunità economica, la comunicazione pubblica delle organizzazioni e dei singoli professionisti può mirare a:
- Sensibilizzare particolari individui o gruppi;
- Stabilire rapporti con le autorità nazionali e internazionali;
- Aumentare la propria brand awareness, soprattutto rispetto alle proprie iniziative promosse.
Nel caso in cui l’obiettivo della comunicazione sia la sensibilizzazione, questa può trasformarsi in advocacy e gli stakeholder darebbero un supporto attivo sia nella promozione sia nell’attuazione delle soluzioni previste contro la crisi.
Tuttavia, comunicare implica correre il rischio di esporsi a contraddizioni con gli stakeholder di rilievo, i quali possono mettere in cattiva luce la credibilità e la reputazione altrui per via del loro forte posizionamento.
In ogni caso, la comunicazione pubblica con la popolazione rimane sempre un obbligo morale a cui ogni istituzione e organizzazione dovrebbe adempiere durante le emergenze sanitarie.
Conclusione
Mentre avviene una crisi sanitaria, gli attori sociali chiamati in causa possono scegliere quale strategia di comunicazione pubblica attuare. In sostanza, organizzazioni, istituzioni e singoli professionisti possono decidere se comunicare o non comunicare.
Entrambe le opzioni hanno dei rischi. Decidere di non comunicare con le parti interessate potrebbe portare conseguenze negative sulla popolazione bisognosa; decidere di comunicare può favorire l’esposizione a eventuali contraddizioni con gli altri stakeholder.
Quel che serve per ponderare al meglio le scelte e, quindi, evitare questi rischi, è sicuramente una strategia di comunicazione sanitaria pubblica.